È stato presentato il Rapporto Svimez del 2018, che, a 44 anni dalla sua prima edizione, ha cambiato il titolo introducendo un esplicito riferimento alla “società”. Dopo una prima parte del Rapporto sulla lettura delle principali variabili macroeconomiche in una fase caratterizzata da una profonda incertezza, la seconda parte è dedicata al tema delle disuguaglianze e dei diritti di cittadinanza; e la terza a un approfondimento delle politiche per il Sud.
Da quanto diffuso, viene fuori che, nel più generale rallentamento dell’economia italiana, si riapre la forbice tra Centro-Nord e Mezzogiorno. Rispetto ad agosto, nel 2018 si prevede, infatti, una minore crescita del PIL italiano: +1,2% invece di +1,5%. Il saggio di crescita del PIL dovrebbe attestarsi all’1,3% nel Centro-Nord e allo 0,8% nel Mezzogiorno.
La crescita del Mezzogiorno, al di là della rilevanza dei fattori locali, è fortemente influenzata dall’andamento dell’economia nazionale, e viceversa. La crescita del Centro-Nord, al di là della sua maggiore integrazione nei mercati internazionali, è altrettanto dipendente, per diverse ragioni, dagli andamenti del Mezzogiorno. Lo dimostra il fatto che nel periodo 2000-2016 le due macro-aree hanno condiviso la stessa dinamica stagnante del PIL pro capite: +1,1% in media annua. Secondo i calcoli SVIMEZ, 20 dei 50 miliardi circa di residuo fiscale trasferito alle regioni meridionali dal bilancio pubblico ritornano al Centro-Nord sotto forma di domanda di beni e servizi. Si stima che la domanda interna per consumi e investimenti del Mezzogiorno attiva circa il 14% del PIL del Centro-Nord. Con riferimento al 2017, la domanda espressa da consumatori meridionali per beni di consumo e d’investimento ha dato luogo a una produzione realizzata nel Centro-Nord per un ammontare di 186 miliardi di euro. Un valore pari alla metà dell’attivazione esercitata dalla domanda estera sul PIL del Centro-Nord.
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